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Filippo Neri

Racconti > personaggi
Filippo Neri
Ritratto di S. Filippo Neri di autore sconosciuto
S. Filippo Neri di Guido Reni - 1614 - Chiesa di Santa Maria in Vallicella
S. Filippo Neri e i ragazzi - autore sconosciuto
"Era tanto umano tanto de bbon core che a Roma chi l'incontrava diceva: Ecco Pippo Bbono! E defatti tutti lo chiamaveno accusi. Sortanto le gran carità che ffaceva! Nun c'era poverello drento Roma che nun era stato soccorso da lui. Annava a ttrova l'ammalati, li curava, je dava bboni consiji, imparava a llegge e a scrive a li regazzini. Speciarmente pe' li regazzini, ciannava matto. Li curava cor una pazienza, cor un amore che nun ve ne dico. Quann'era la festa se li portava a ffa' mmerenna a Sant'Onofrio sotto la cerqua de Torquato Tasso: llì ddoppo magnato li faceva ggiocà', ddivertì' e j'imparavà a ccantà. Perchè fra ll'antre cose, dice che Ssan Filippo Neri era un bravo musicante. Quanno poi li regazzini faceveno troppa cagnara e l'infastidiveno, je diceva co' 'na pazienza da Ggiobbe: - State bbôni, regazzi, si ppotete, e si nun potete seguitate".             
                                                                                       Giggi Zanazzo

Filippo Neri nasce a Firenze il 21 luglio 1515. Compie gli studi presso i domenicani del convento di San Marco, ma non ha ancora 18 anni quando si trasferisce a San Germano vicino Montecassino, per apprendere da uno zio l'arte del commercio, ma questa attività poco lo attirava, per cui decide di spostarsi a Roma. Quando Filippo vi giunse nel 1533, la città faticava a riprendersi dalle ferite inferte sul suo tessuto sociale dal Sacco dei Lanzichenecchi del 1527. Alla desolazione che interessava porzioni significative della città e molti dei suoi abitanti facevano da contrasto i fasti della mondanità rinascimentale, cui non era immune la corte pontificia. Una volta arrivato, si stabilì a Sant’Eustachio, nei pressi del Pantheon, in casa di un concittadino, Galeotto Caccia, ai cui figlioli dava ripetizioni di grammatica, per guadagnarsi il vitto e l’alloggio. Per il resto della giornata «stavasene egli quanto poteva il più solitario, e senza compagnia d’altrui», fuori casa, «per le sue divozioni», scrive uno dei suoi primi biografi, Antonio Gallonio. Filippo completa la sua formazione alla “Sapienza” ma si dedica alla preghiera, alla penitenza e alla cura degli ammalati; visita le Sette Chiese e, specialmente di notte, le catacombe di San Callisto e di San Sebastiano, a quel tempo deserte e malsicure pure di giorno. Naturalmente, la solitudine del giovane Filippo non era così radicale come certi biografi tendono a disegnarla: divenne infatti subito amico dei domenicani del convento e della chiesa di Santa Maria sopra Minerva, nel cui coro recitava il mattutino e la compieta; fu compagno dei gesuiti nel terribile inverno del 1538-39, e con loro girò per la città a raccogliere infermi e poveri perseguitati dalla fame. Negli anni Quaranta del secolo frequentava con assiduità il quartiere dei Banchi, nei pressi di Ponte Sant’Angelo, dove era diventato amico dei cassieri e dei ragazzi commessi nei magazzini, ai quali, con la sua bella allegria, spesso ripeteva: «Beh, fratelli, quando volemo cominciare a far bene?». E sempre in quel periodo andava a pregare nella chiesetta di San Salvatore in Campo, dove fondò, insieme ad altri, la Compagnia della Santissima Trinità, per l’assistenza ai pellegrini che si sarebbero riversati nell’Urbe nell’imminente anno giubilare del 1550. Domenicani e Gesuiti gli avevano proposto di entrare nel loro ordine, ma San Domenico e Sant'Ignazio erano per lui santi troppo severi: per Filippo seguire Gesù era affidarsi alla letizia della Resurrezione. Nella Compagnia della Trinità incontrò padre Persiano Rosa, cappellano della chiesa di San Girolamo della Carità che divenne il suo confessore, e a San Girolamo incominciò a ritrovarsi abbastanza regolarmente con quei compagni, giovani apprendisti e impiegati nei banchi, ma anche gente semplice, figli di artigiani e bottegai, che gli si erano stretti attorno, contagiati dalla sua allegria cristiana. Erano sempre più numerose le persone che si riunivano ogni giorno accanto a lui per la celebrazione dell'Eucarestia e per la spiegazione delle Sacre Scritture: nasce così, dalla pratica quotidiana, l'oratorio. Filippo divenne sacerdote il 23 maggio 1551. Gallonio racconta che da quel giorno iniziò a trovarsi «ad ogn’hora... al confessionario, scendendo ogni mattina all’alba nella chiesa, dove lungamente dimorando udiva con allegrezza quanti a lui venivano». A San Girolamo continuava con i suoi amici il dialogo semplicissimo, fatto, scrive Rita Delcroix (Filippo Neri, il santo dell’allegria, Roma 1989), di «domande e risposte sulla fede, sulla bellezza e la virtù e concluso con una spiegazione e un’esortazione, che Filippo compiva fraternamente, pianamente. Si usciva poi insieme per le strade di Roma...». Negli anni del Concilio di Trento la sua vita ed il suo apostolato costituiscono un contributo concreto al rinnovamento della chiesa cattolica. Da sempre Filippo dimostra la sua particolare predilezione verso i fanciulli e i giovani, facendosi “fanciullo coi fanciulli, sapientemente”, divenendo loro amico e compagno di giochi. Non apre scuole e non traccia programmi teorici di insegnamento, ma organizza “liete brigate”. Al successo sempre maggiore delle riunioni dell'oratorio, delle passeggiate collettive quotidiane per le vie e le chiese di Roma, delle più solenni visite alle Sette Chiese (pellegrinaggi della durata di un giorno intero con messa, canti e anche colazione all'aperto), alle quali particolarmente nei giorni di Carnevale arrivavano a partecipare in alcuni anni più di un migliaio di persone, corrispose una notevole diffidenza, particolarmente acuta durante i pontificati di Paolo IV e Pio V; ci furono inchieste da parte del vicariato romano e dell'Inquisizione, essendo cosa «insolita» questo metodo di ragionamenti spirituali, con partecipazione dei laici, questa devozione che non negava la liturgia ufficiale né tantomeno i sacramenti, ma cercava nuovi spazi al di fuori delle consuete modalità. Resta il fatto che queste inchieste si conclusero sempre nel nulla e che l'influsso di Filippo e del suo gruppo divenne sempre più forte anche nell'ambiente curiale: alle riunioni e alle iniziative partecipavano i prelati e i cardinali più legati alla riforma religiosa, molti erano anche discepoli spirituali di Filippo. Poiché la malinconia è cattiva consigliera, mette la gioia al primo posto, accanto alla semplicità e alla dolcezza: per questo è anche chiamato “il santo della gioia”. Filippo trascorreva tempo con i suoi ragazzi: stava con loro. Quando qualcuno però si lamentava della “troppa allegrezza” dei suoi giovani, lui tranquillamente diceva: «Lasciateli, miei cari, brontolare quanto vogliono. Voi seguitate il fatto vostro. State allegramente: non voglio scrupoli, né malinconie; mi basta che non facciate peccati». E quando doveva calmarli un po’ diceva loro: «State buoni... se potete». Il 1564 fu l’anno in cui al riluttante “Pippo bbono” venne “imposta” dal suo amico cardinale Carlo Borromeo la rettoria di San Giovanni dei Fiorentini: là il santo destinò alcuni suoi seguaci diventati preti in quegli anni, lui però se ne restò a San Girolamo. Poi, il 15 luglio 1575, Gregorio XIII, concedeva al “diletto figlio Filippo Neri, prete fiorentino e preposito di alcuni preti e chierici”, la chiesetta parrocchiale di Santa Maria in Vallicella, dedicata alla Natività di Maria, ed erigeva canonicamente "una Congregazione di preti e chierici secolari da chiamarsi dell’Oratorio". In quello stesso 1575 si iniziò la ricostruzione della chiesa. Filippo, che non voleva assolutamente spostarsi, lasciò San Girolamo per questa nuova dimora solo nel 1583: ci volle l’intervento personale del Papa per spingerlo a lasciare il suo vecchio San Girolamo e a trasferirsi con la Congregazione che lo proclamava suo unico superiore. Se si riuscì a forzargli la mano, egli si rifece organizzando una splendida mascherata in cui i discepoli più fedeli dovettero attraversare la città sotto i lazzi di tutti, ciascuno trasportando con gran cura un pezzo della miserabile mobilia di Filippo. Così era fatto “Pippo bbono”, l’Apostolo di Roma, che visse a Santa Maria in Vallicella fino alla morte, avvenuta il 26 maggio 1595. Il suo corpo riposa ancora qui.
© Sergio Natalizia - 2011
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